DUE FORESTE, ANZI TRE
di Guido Dalla Casa
La Foresta Amazzonica e la Taiga Siberiana
Le due foreste più estese della Terra, diversissime per clima e caratteristiche, sono la foresta amazzonica, equatoriale-pluviale a clima quasi-costante, e la taiga siberiana, subartica e con inverni molto freddi. Un’altra grande foresta, quella dell’Africa centrale, è di natura equatoriale-pluviale. Ora stanno bruciando tutte tre, per mano umana, ed erano già piuttosto compromesse. Le cause di questi disastri sono:
- una delle più distruttive culture umane, che ha ormai invaso tutto il mondo, cioè la civiltà industriale, con il suo tragico primato dell’economia;
- la mostruosa sovrappopolazione umana che affligge la Terra.
La straordinaria varietà e abbondanza di viventi che caratterizza le foreste equatoriali è notissima. E’ pure conosciuto il ruolo vitale di tutte queste foreste nei grandi cicli della vita e nella regolazione dei gas principali dell’atmosfera terrestre, e in particolare del ciclo respirazione-fotosintesi su cui si regge la Vita macroscopica del Pianeta.
Le grandi foreste sono in fiamme tutte tre: la colpa non è solo “dei governi”, come si dice di solito, è anche di coloro che si oppongono al controllo delle nascite, che riconoscono un ruolo primario all’economia, che invocano la crescita come un rimedio a tutto o un fattore di “progresso”, che accettano il PIL come indicatore di benessere o di felicità. La civetta delle nevi, quando si accorge che ci sono pochi topolini in giro (lemmings) o ne prevede la scarsità, non fa le uova; gli elefanti, che non hanno predatori, fanno pochissimi figli.
Attualmente hanno un nemico terribile, l’uomo, ma anche in questo caso è l’economia che li uccide, dato che l’avorio ha un valore monetario. La colpa è del mostruoso cancro che divora la Terra: la crescita economica, un processo che distrugge la Vita, poiché sostituisce materia inerte a sostanza vivente. Un popolo pensa a fare più quattrini vendendo bistecche (Brasile), un altro pensa alle “nuove rotte commerciali” dell’Artide (Russia), un governo vuole far fuori anche l’Alaska e sta tentando anche con la Groenlandia (USA). Ovunque gli stessi mali che portano alla morte: l’economia, la crescita, la globalizzazione.
La sofferenza degli esseri senzienti, compresi gli umani, è in aumento quasi ovunque a causa della civiltà industriale che ha invaso il mondo. L’idea che la nostra specie sia al di fuori del sistema biologico terrestre è la radice di tutti i guai: l’antropocentrismo è il male del mondo. Attorno a noi non c’è l’ambiente, come affermano anche gli “ambientalisti superficiali”, ma noi siamo parte di un Organismo, che probabilmente è anche un essere senziente. Questo Organismo è composto di trenta milioni di specie di esseri viventi più tutte le relazioni che li collegano fra loro e con il mondo inorganico.
L’errore antropocentrico
Le grandi foreste bruciano fra la quasi-indifferenza dei governi, ma anche di gran parte dei popoli: dicono che si aprirà una nuova via commerciale, o che l’incendio riguarda zone disabitate (pensano solo alla nostra specie! E le altre?), ma che cresceranno i parametri dell’economia. Occorre andare alla radice filosofica e di pensiero del problema: che lo si voglia o no, siamo animali immersi completamente nei grandi cicli della Natura. Bisognerebbe non solo spegnere gli incendi con tutti i mezzi, ma non tagliare più alberi, neanche uno: sono esseri senzienti e non legname. Anche l’Africa sta bruciando, sotto la spinta dell’economia. Sempre per il grande errore di questa civiltà, l’errore antropocentrico.
E la Scienza? Sembra quasi che ci siano due scienze: una, che confina con la filosofia e sa benissimo che siamo animali (anche facilmente classificabili), parte di un Sistema molto più grande, anche mentale, e che vede con chiarezza l’origine di quegli incendi e la follia della crescita economica o dell’economia stessa, e una scienza che confina con la tecnologia ed è schiava dell’economia e dell’industria. La politica ascolta solo quest’ultima, quando va bene. E il popolo? Segue l’onda, chiede la crescita, cioè la morte del Complesso, e di sé stesso.
Solo come esempio, una citazione: Un inferno urbano contemporaneo è fatto di molte cose. Tra le più evidenti, c’è l’eccesso di circolazione di macchine, auto e moto. Contro smog e paralisi si almanaccano palliativi di ogni genere, ma soltanto abbattendo la produzione automobilistica si potrebbe ridare alle città un po' di respiro post-diluviale. Immediatamente sulle piazze liberate dai grovigli di auto, si adunerebbero a migliaia, e a migliaia di migliaia, i tamburi di latta della protesta di quelli a cui fosse stato restituito il respiro: non vogliono la cura, ma la malattia in tutta la sua spietatezza...
La sola voce concorde, universale, in alto e in basso, grida che nessuna industria si fermi o chiuda, qualsiasi cosa produca, sia pure inutilissima o micidialissima, sia pure destinata a restare invenduta: la sola voce concorde invoca che si aprano cantieri su cantieri e che si investano finanze in nuovi progetti industriali: a costo di qualsiasi inquinamento e imbruttimento, a costo anche di fare accorrere, per l’immediata ritorsione morale che colpisce chi accolga progetti simili, le furie di una intensificata violenza. E se deve, sul mare delle voci tutte uguali, planare una promessa rassicurante, è sempre la stessa: ci sarà la “ripresa”, ne avrete il triplo di questa roba...
(Guido Ceronetti, La Stampa, 9 marzo 1993)
E’ l’economia che sta bruciando le due grandi foreste e causando una grande sofferenza nel cuore della Vita che, lo si voglia o no, è un fenomeno unico, compresa la nostra specie. Non possiamo neanche dire “Attenzione, la nostra casa sta bruciando!” perché la Terra non è la nostra casa, noi non siamo gli abitanti o i custodi, perché questo sarebbe ancora un intollerabile antropocentrismo. Dobbiamo dire “Stiamo distruggendo l’Organismo cui apparteniamo come cellule impazzite”. La civiltà industriale e la crescita economica si comportano come le cellule del cancro. L’Organismo dovrà liberarsene estirpando il suo male. Ma come?
Qualche speranza
Per quanto riguarda l’unico movimento che dà qualche speranza, quello di Greta Thunberg e i FFF (Fridays For Future), la strategia degli industrialisti-sviluppisti è evidente: Facciamo grandi lodi alla ragazza svedese e raccomandazioni a seguirla, tanto non faremo niente di concreto. Anche il Papa l’ha elogiata e ha parlato con lei. Seguitela: Brava Greta! Tanto continueremo come prima, con estrazione e consumo di montagne di combustibili fossili, per “le superiori esigenze dell’economia”.
Nel frattempo, gli industrialisti-sviluppisti e i politicanti loro seguaci (in pratica quasi tutti) hanno inventato termini ridicoli e contradditori come sviluppo sostenibile, green economy, crescita verde, economia circolare e simili. Del resto, ci chiediamo come possano dire di abbandonare la visione del mondo giudaico-cristiana-islamica e quella, strettamente imparentata e alleata, economicista-industrialista-sviluppista, cause primarie e inesorabili dell’attuale tragica situazione. Bisognerebbe invece dimenticare il dualismo, o la contrapposizione, uomo-natura, smentito dalla scienza già da due secoli: ma non se n’è ancora accorta.
Conclusioni
Mi viene i mente la conclusione del libro “Dieci miliardi” di Stephen Emmott: “Ve lo dico io cosa faremo. Non faremo assolutamente niente.” Purtroppo è molto probabile che questo accada, il che significa che provvederà la Terra: nel grafico BAU de I limiti dello sviluppo (1972), finora seguito rigorosamente dagli eventi reali, se si continuerà con le stesse interazioni fra la cinque grandezze (popolazione, alimenti, produzione industriale, inquinamento, risorse) cioè se continuerà lo stesso modo di vivere, sono prevedibili cinque miliardi di umani morti in un mondo orribilmente degradato, oltre alla devastazione di tutti gli altri esseri senzienti. In tal caso, la Terra impiegherà molti milioni di anni per riprendersi.
Intanto le due grandi foreste della Terra continuano a bruciare, mentre i governi responsabili del territorio stanno pensando alla nuova via commerciale attraverso l’Artide oppure alla crescita del PIL dovuto alla maggiore vendita di bistecche per l’aumento di allevamenti intensivi di bovini. Della quasi-morte del Pianeta non interessa niente a questi politicanti, come ai loro inconsapevoli popoli, tranne qualche piccola minoranza. I Paesi “lontani” (ma da cosa!?) danno la notizia, ma non fanno assolutamente niente, devono pensare alla crescita!!
Non ci resta che sperare in un meraviglioso imprevisto.
Guido Dalla Casa
Bologna, settembre 2019
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